16 novembre'13 Sant'Atto (TE) - Alcuni scatti della serata al "Baratto" dei The Breeze, la cover band formata da due ex Def Killer Band e da Wolters Di Giacinto e Pino Croce. Hanno suonato per lo più pezzi dei Black sabbath, ma hanno anche recuperato brani di band storiche poco battute come Kiss, Atomic rooster o Huria heep; che potenza, e la voce di Gigi Def è ancora nel mondo del metal! Negli scatti i vecchi leoni in bella mostra (vecchi è un complimento!). foto diFabio Costantini è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Unported.
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di Nicola Catenaro «La musica, la mia favolosa ossessione» Luca D’Alberto è un artista sorprendente. La sorpresa sta nel trovarlo sempre al fianco di grandi personaggi in vari campi, dal teatro alla danza o alla musica rock, senza vederne modificati negli anni né il carattere (fondamentalmente timido) né l’approccio alle cose che gli accadono intorno (allegro e spensierato, come sempre). L’espressione e i modi da eterno fanciullo, però, tradiscono le doti e il talento di un musicista colto, sensibile e raffinato. Ecco la sua (sorprendente) intervista-ritratto. Luca D’Alberto, quando e come ha iniziato a suonare e perché? «Ho iniziato da piccolissimo perché nella mia famiglia ci sono due meravigliose musiciste: mia madre e mia sorella. Ascoltandole suonare, chiesi di iniziare lo studio di uno strumento e scelsi la viola e il violino. Gli strumenti ad arco mi hanno sempre appassionato. Mi sono avvicinato anche alla Violectra 6 corde». A chi deve un grazie per la sua formazione? «Sicuramente a mia madre e mio padre». Quali sono i suoi principali riferimenti musicali? «La curiosità è il mio principale riferimento». Il musicista con cui ha lavorato che ammira di più? «Uno tra i tanti è Mike Garson, compositore e pianista di David Bowie, Smashing Pumpkins, NIN. Nonostante le sue esperienze, ha una grande capacità di ascolto e una grande umanità». Con quale musicista del passato vorrebbe aver lavorato? «Chopin». Il suo sogno già realizzato? «Essere entrato nella grande famiglia del Tanztheater “Pina Bausch”». Il suo sogno ancora da realizzare? «Non si può dire, magari porta male… ». La musica: la sua pace o la sua ossessione? «Mai domanda fu più giusta. Così come ti dà tanto: emozioni indescrivibili ed esperienze uniche, la musica toglie molto. Per inseguirla devi metterla al primo posto e fare molte rinunce». Musica classica o musica leggera? Quale sceglie? «Ogni musica fatta con senso del gusto, senza discriminazioni di sorta. La mia grande capacità è quella di ascoltare senza pormi limiti». Musica o poesia? La prima comprende l’altra o la seconda comprende la prima? «L’una dovrebbe perdersi nell’altra e molto dipende dalla capacità del poeta e del musicista di amalgamare le due arti. Sto collaborando con Rick Holland, poeta scozzese e collaboratore di Brian Eno, con il quale ho trovato corrispondenza di respiro. Inoltre Rick è davvero un esempio per quanto riguarda la musicalità messa in parole. Voglio dire che una sua poesia è già musica». Ci sono persone musicali e altre meno musicali? «Come per qualsiasi arte ci sono persone di talento e altre meno al di là del percorso di studio. Molti artisti autodidatti hanno fatto la storia della musica come e a volte più di altri che hanno seguito studi accademici. Questo perché l’istinto e il senso del gusto innato sono più forti di qualsiasi percorso». Che rapporto vede tra arte e politica? «Credo che ogni artista faccia politica nel senso di un impegno nei confronti della Bellezza. Anche chi non sceglie la via palesemente politica opera nel sociale, provando a comunicare sensibilità per cose apparentemente futili o lontane dalla vita pratica. In fondo l’attenzione perla Bellezzadovrebbe essere il punto di partenza e di arrivo di ogni essere umano. Il discorso ovviamente sarebbe molto più lungo e ricco di sfumature».
Che rapporto ha con Teramo e perché dice che è legato alla sua terra da connessioni magiche? «Con Teramo ho un bel rapporto, è anche nella mia città che ho composto la maggior parte delle mie musiche che poi hanno risuonato nei teatri di tutta Italia e non solo. Penso alle musiche composte tra Teramo, Roma ela Germania: il “Così è se vi pare” e il “Re Lear” di e con Michele Placido, lo spettacolo teatrale dedicato a Puccini di Albertazzi, le mie composizioni per il Tanztheater “Pina Bausch” e tanto altro. La magia della mia terra nasce dal forte rapporto con la natura: la montagna, il mare così a poca distanza. A volte, percorrendola A24, mi chiedo quanto quello che da bambino consideravo scontato alla vista in realtà è speciale ed ha contribuito alla mia crescita artistica. Forse è proprio da lì che nasce la mia curiosità, in questa terra dove gli elementi naturali si fondono e si integrano». Vive a Roma per scelta o per necessità? «In realtà vivo a Roma perché condivido molte amicizie e contatti professionali, ma spesso sono fuori Italia per altri impegni artistici. Wuppertal, la città della Germania del Nord scelta da Pina Bausch per le sue creazioni, mi fa pensare molto a Teramo. A Pina hanno proposto città più blasonate come Berlino o New York ma è rimasta in questo piccolo centro fino alla fine, perché lì aveva maggiore ispirazione e tranquillità. A volte le piccole città, che apparentemente limitano o escludono, proteggono». Come cambierebbe la sua città? «Vorrei ci fosse maggiore carisma collaborativo e supporto, spesso ci si sente teramani e o italiani quando viviamo all’estero e sarebbe auspicabile alimentare consapevolezza e nuove sinergie in loco. È un discorso valido non solo per Teramo ma per tutta l’Italia». CHI È Compositore, Violectra 6 corde violista, violinista diplomato con il massimo dei voti, la lode e la menzione ministeriale, è Violectra Official Player al fianco di importanti artisti internazionali come Jean Luc Ponty e Nigel Kennedy. Nel mondo della musica classica, quale vincitore di selezione internazionale, ha collaborato con Bruno Giuranna, Simonide Braconi, Antonio Anselmi, Reiner Schmidt e con l’orchestra Cherubini diretta dal maestro Riccardo Muti. Collabora con Zentropa (casa di produzione di Lars Von Trier), Michele Placido, Giorgio Albertazzi, Rick Holland (poeta di fama internazionale e stretto collaboratore di Brian Eno), Mike Garson (pianista di David Bowie), Astrid Young (Neil Young), Deep Purple, Xabier Iriondo (Afterhours), Ditta Miranda e Damiano Ottavio Bigi (Tanztheater “Pina Bausch”), è ospite degli eventi organizzati dal Tanztheater “Pina Bausch” all’interno del Festival “Pina40″. Ora sta lavorando al suo primo progetto solista, “ESTASI”, con numerosi ospiti internazionali. Nicola Catenaro - storie abruzzesi Fai clic qui per effettuare modifiche. Rilasciato da pochi giorni, su tutti i social network musicali, il secondo singolo del progetto A minor place. "Convent Upon Ohře" è il titolo del tenero brano che la sigla A minor place ha pubblicato e corredato di una raffinata immagine. La copertina di riferimento del brano, come anche tutta la rappresentazione visiva del progetto, è stata realizzata con un gusto delicato dall'artista grafica Marta Balducci; già collaboratrice tra l'altro di vari progetti a carattere musicale (https://www.facebook.com/pages/Madame-Zissou/511973485545890).
Il progetto A Minor Place è il prodotto di: "una bella donna e del suo uomo barbuto..."(A.M.), che ha suonato e suona ancora il basso, da più di venticinque anni, con diverse formazioni locali. Marta ha curato, con raffinate maniere, l'altrettanto importante parte grafica: copertine, logo, ecc... (Marta, chi sarà mai? Perchè non concederci altre immagini al più presto? n.d.r.). Con la collaborazione, per la produzione, il mixaggio ed il mastering, del chitarrista Matteo Borgognoni, possiamo ascoltare Epic Deeva, il primo singolo prodotto da A Minor Place. Il 25 ottobre '13 sarà pubblicato in rete un altro pezzo, e poi altri ancora quando saranno pronti.
https://soundcloud.com/a-minor-place http://aminorplace.bandcamp.com/track/epic-deeva Non sono molti i chitarristi italiani che possono dire di aver suonato con leggende del blues come Bob Stroger, Willie “Big Eyes” Smith (il batterista di Muddy Waters), Jimmy Burns o J.W. Williams. Lui, Luca Giordano, abruzzese doc, a soli 33 anni può dirlo forte anche se la sua fama ha percorso più rapidamente il circuito dei locali e dei festival statunitensi che la sua provincia di nascita, ciò che lui stesso chiama il “nido”: Teramo. Chi l’avrebbe mai detto che questo ragazzo mingherlino e con la barba un po’ incolta, sempre sorridente ma fondamentalmente timido, sarebbe diventato un punto di riferimento, almeno negli States, tra i fedeli della musica nera per antonomasia, la cosiddetta “musica del diavolo”, il blues. Pazienza, in attesa che la sua città se ne accorga e gli conceda gli onori che merita (a proposito, il suo prossimo concerto a Teramo è fissato per il 1° dicembre, insieme al noto armonicista Marco Pandolfi), vi forniamo un suo gradevole ritratto. Luca Giordano, quando ha iniziato a suonare la chitarra? «Ho iniziato a strimpellare la chitarra da piccolo, intorno ai tredici anni, con una vecchia ma ottima chitarra classica di mia madre. Poi, pian piano, ho cominciato ad interessarmi di solistica». l suo primo contatto con il blues? «È stato in un piccolo locale del Teramano dove suonava una band. Si divertivano ed avevano un approccio alla musica molto libero e ludico». Quando è diventato un musicista professionista? «Dopo anni insieme alla mia prima blues band, i Jumpin’ Eye Blues Quintet, con cui abbiamo anche vinto diversi premi e partecipato a diverse rassegne, decido di partire per Chicago. Da quel giorno, posso dire che è cambiato tutto: ho scoperto nuovi punti di vista e soprattutto ho avuto la spinta decisiva per credere nella professione del musicista. In quei tre anni, alternati tra Stati Uniti ed Europa, ho cominciato le mie più importanti collaborazioni e da lì è ufficialmente iniziata la mia carriera». Con quali artisti blues ha suonato finora? Quali le collaborazioni di prestigio? «Ho avuto negli anni la fortuna di suonare al fianco di grandi artisti americani del circuito blues statunitense, e per lo più con la stragrande maggioranza degli artisti di Chicago. Ho iniziato con Les Getrex, chitarrista di Fats Domino, quindi J.W. Williams, della band di Buddy Guy & Junior Wells, ed ancora Sharon Lewis Eric Davis, James Wheeler, Chris Cain, Peaches Staten, Sax Gordon, Nellie Travis, Shirley King, figlia del re B.B. King, e, tra quelle che più mi stanno a cuore, senza dubbio Bob Stroger, 83 anni, bassista della Jimmy Rogers Band, e Willie Big Eyes Smith, leggendario batterista di Muddy Waters». Cos’è per lei il blues? «Il blues è un particolare modo di approcciare la musica. È un rapporto basato sul feeling, sull’istinto, sull’espressività e sulla comunicatività prima ancora che sulla tecnica. Del resto nasce e si sviluppa come musica di protesta e ribellione, come necessità di tirare fuori i propri blues, le proprie pene. Forse autenticità e genuinità sono due caratteristiche che esprimono al meglio il senso di questo genere. Per citare Pinetop Perkins: “If you don’t feel the blues, you have a hole in your soul” (letteralmente: se non riesci a sentire il blues, hai un buco nella tua anima, ndr)». Quanto è stato importante il blues per la musica rock? «Il blues è un po’ la mamma di tutte le musiche. Artisti come Eric Clapton o John Mayall hanno basato la loro carriera riproponendo classici del genere o reinterpretando artisti come John Lee Hooker, Robert Johnson o Howlin Wolf. Addirittura i Rolling Stones hanno ripreso il nome della band proprio da un brano di Muddy Waters». Al blues sono legate parecchie leggende, tra le quali forse la più nota è quella del patto con il diavolo in cambio del successo come si favoleggia sia avvenuto per Robert Johnson, il grande bluesman degli anni Trenta scomparso in circostanze misteriose a soli 27 anni. Cosa ne pensa? «Non è poi cambiato molto da allora. Anche oggi fior di artisti si inchinano alle logiche di mercato e del music business in cambio del successo e della carriera. Ma non dimentichiamoci che a quei tempi il gospel era considerato la musica del Signore e il blues quella del diavolo. In buona sostanza, tutta la musica che cantava della ribellione alle istanze sociali del tempo era considerata sacrilega». Perché il blues riscuote ancora oggi un così grande successo? «Forse perché è una grande valvola di sfogo per chi lo suona e per chi lo ascolta? Forse perché è un genere musicale facilmente fruibile da tutti, basato il più delle volte su pochi accordi ma su tanto groove? O forse perché è paragonabile più alla sana e genuina cucina casereccia, con i relativi trucchi tramandati da generazioni che non trovi sui libri di cucina e con tanto amore, piuttosto che alla raffinata cucina di uno chef a cinque stelle». Qual è il suo ricordo più bello da musicista? «Sul palco con Willie Big Eyes Smith, batterista di Muddy Waters, Bob Stroger e Willie Mayes al Virginia Beach Blues Festival 2011. Non lo dimenticherò mai». Che rapporto ha con Teramo e l’Abruzzo? «Diciamo che Teramo rappresenta un po’ il mio nido, al quale tornare dopo mesi di tour o viaggi all’estero per godermi il meritato riposo del guerriero. Sono nato qui e ho qui la mia famiglia, ed anche il mio terreno con il mio orto… L’ Abruzzo è una regione stupenda. Abbiamo il mare, la montagna, la campagna, paesaggi e borghi strepitosi, vino ottimo e cucina eccezionale. Quello che serve per una vita da re. Ciò che manca, come ormai nella stragrande maggioranza del paese Italia, è la cultura con la lettera maiuscola: musica, teatro, scultura, poesia … arte in generale e spazi per gli artisti. Ormai al giorno d’oggi si arriva addirittura a dire che con la cultura non si mangia, quindi mi sento di dire che è un problema globale più che provinciale». Cosa consiglierebbe a un giovane musicista che volesse seguire le sue orme? «Consiglierei il viaggio. Il viaggio porta freschezza, rinnovamento, confronto, ma soprattutto punti di vista diversi sul mondo. E dal viaggio si torna più maturi e con tanta esperienza sulle spalle. L’importante è non perdersi». CHI È:
Luca Giordano inizia la sua avventura all’età di 20 anni, sviluppando anno dopo anno il proprio particolare stile grazie ad una profonda passione per il blues. Trasferitosi a Chicago, inizia un lungo periodo d’intensa gavetta. Intraprende diverse collaborazioni con artisti del panorama blues locale, come Les Getrex Band, Sharon Lewis and Texas Fire, e con il leggendario J.W. Williams, che ha affiancato per più di un mese in sostituzione del suo chitarrista Shun Kikuta il quale era in tour con Koko Taylor. Nel 2008 incontra Eric Guitar Davis ed avvia con lui un’ottima collaborazione e una grande amicizia. Nel 2011 si esibiscono insieme al “Chicago Blues Festival” presso il Crossroad Stage ed il Windy City BluesStage. Con la sua band, Luca suona nei migliori club e festival statunitensi ed europei ed anche come sideman per leggende del Chicago Blues, come Bob Stroger, Willie “Big Eyes” Smith (leggendario batterista di Muddy Waters), Jimmy Burns e J.W. Williams. Oltre alle diverse collaborazioni che lo portano a una forte versatilità stilistica, rende omaggio insieme al suo collaboratore e grande amico armonicista, Quique Gomez, al blues tradizionale della vecchia scuola di Chicago. Partendo dal blues tradizionale, con colori sgargianti e toni a scanalature più sperimentali, Luca Giordano costruisce il suo spettacolo che riecheggia storie ed esperienze personali, collaborazioni ed esperienze, facendosi anche intenso omaggio ad alcuni dei suoi ispiratori come Carlos Johnson, Chris Cain, J.W. Williams e Lurrie Bell, solo per citarne alcuni. ------------------------------------------------------------------------------------------------ Nicola Catenaro I Turn sour tornano insieme, sul palco de "La Villa suite", dopo più di vent'anni. Nel video suonano Your hometown - Teramo 2 agosto '13. da sx: Valter Di Giacinto, Andrea Marramà, Luciano Di Matteo, Tito Macozzi.
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Dicembre 2023
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