Intervistiamo Kote (batterista della band) in occasione dell'uscita del primo album degli AIKIRA (2014). Leggiamo quello che ci racconta del loro intenso post-rock strumentale, e di quanto sia faticoso portare avanti la musica inedita. Nati da una diramazione dei "Vibratacore": AIKIRA. -Questo gruppo, se non sbaglio, è composto da due elementi dei Vibratacore. Qual è l’idea musicale alla base degli Aikira? Gli Aikira sono Sapone (basso), Andrea (chitarra), Io (Kote – batteria) e Fango (chitarra). Io e Fango abbiamo fondato insieme i Vibratacore nel 2001, io sono uscito dal gruppo nel 2008 e invece Fango fa tuttora parte della band. L’idea nasce nel tardo 2008, da alcune jam tra me e Fango, che si discostavano dal “classico” sound dei Vibratacore. C’era una naturale tendenza a convergere verso suoni più evocativi e non necessariamente violenti, senza però perdere d’occhio dinamiche più potenti. Nel 2010 Andrea è entrato nel gruppo, è qui che abbiamo incominciato a prendere davvero forma. Per un bel pezzo ci vedevamo per farci delle bellissime e interminabili jam. Si spaziava da parti molto oniriche arricchite dal sound dilatato di Andrea a momenti più di impatto sonoro. Andando a riascoltare le registrazioni ci rendemmo conto che c’era un bel po’ di materiale interessante, sulla base del quale si potevano comporre dei pezzi, e ci siamo messi quindi al lavoro. Abbiamo incrociato vari bassisti nel frattempo, (lo stesso Andrea all’inizio suonava il basso), per incontrare infine Sapone nel 2013 che oggi è un membro stabile della band. -Questo disco è il primo lavoro per gli Aikira? Si, questo disco è il primo, un lavoro durato più di un anno e mezzo, con la insostituibile collaborazione di Stefano Lelli del Baia Dei Porci Studio Recording alle manopole. -Autoprodotto? Il disco è il risultato di una co-produzione tra noi e Udedi / AdioZero records, un’etichetta indipendente che gravita attorno al Baia dei Porci Studio. www.recordingstudio.it -Che ruolo svolge l’etichetta discografica a cui vi siete rivolti? Oltre alla distribuzione in tutti gli store più importanti, compresi quelli online, l’etichetta promuove il nostro lavoro, pubblicando l’album nei vari siti di streaming on-demand come Spotify, Bandcamp iTunes ecc. -La musica che componete suggerisce un umore un po’ oscuro ed onirico. Da dove nasce quello che suonate? La cosa più importante che caratterizza il nostro suono è sicuramente il fatto che proveniamo tutti da ascolti differenti, l’unica cosa che abbiamo in comune credo sia una certa tendenza a interagire con le varie dinamiche che un pezzo può prendere, ognuno ovviamente ha la propria maniera di relazionarsi a questa cosa. I nostri pezzi nascono perlopiù dalle varie improvvisazioni, dove cerchiamo sempre di farci “rapire” da quello che si sta suonando. La cosa che fa sicuramente da collante è il rapporto umano che abbiamo stabilito all’interno degli Aikira, importantissimo per ognuno di noi quattro. Senza quello dubito che avremmo mai raggiunto l’obbiettivo di portare a termine l’album. -E’ faticoso secondo voi fare parte di una band che produce musica inedita? E’ una fatica immensa, una di quelle cose che solo la passione ti dà la forza di staccare dal lavoro e andare in sala prove per tre o quattro ore. Soprattutto quando cominci ad avere un’età in cui la vita ti offre pochi momenti liberi. Proporre la propria musica in giro qui nei nostri dintorni poi è quasi utopia, e la causa di questa spiacevole situazione sta un po’ d’ovunque ti giri: ci sono i gestori dei pochissimi locali della zona, poco vogliosi di scommettere su band con pezzi propri. Spesso non ti offrono neanche il rimborso. Altra grande colpa è da attribuire alle cover band, di cui la nostra zona è letteralmente infestata, che se fosse per me, nonostante abbia molti carissimi amici che fanno cover, gli darei l’esilio a vita. Oggi tutto è disponibile, a portata di click, perciò parecchie persone preferiscono non andare ai concerti e stare a casa a lamentarsi via chat dell’assenza di concerti in zona. Anche noi che facciamo parte di band con pezzi propri abbiamo senza dubbio le nostre colpe: spesso e volentieri pecchiamo di scarsa obbiettività nei confronti delle nostre composizioni e proponiamo cose che funzionano poco o male o roba già sentita e risentita. Dal vivo poi c’è una quasi totale mancanza di adattabilità alle varie situazioni live: quante volte ti sarà capitato di andare ad un concerto e non capire nulla perché la band si esibiva ad un volume da S. Siro ed il locale era di 20 mq?. -Come pensate sarebbe il caso di veicolare la musica oggi, e come fate voi per fare ascoltare quello che producete. Oggi il miglior mezzo per far circolare la propria musica è ovviamente il Web. Noi Aikira siamo presenti su tutte le varie piattaforme online, ed il nostro album è ascoltabile anche sul nostro sito. Gli effetti collaterali di questa cosa però sono visibili a tutti: in questo modo la nostra musica circola in tutto il Pianeta, ma otteniamo pochissimi mezzi per sostenere le varie spese che avere una band o produrre un disco, comporta. Perciò secondo me è importante andare a quei quattro concerti che si organizzano qui nella nostra zona, e sostenere le Band, magari con l’acquisto di cd (che spesso e volentieri costano come una 0,4 di birra) o t-shirt e/o vari gadget. -A chi suggerireste di ascoltare il vostro disco? Grazie… Il nostro disco io personalmente lo consiglio a tutti: essendo composto da varie atmosfere differenti tra loro, ognuno credo (e spero) ne possa trarre qualcosa di interessante.
2 Commenti
White Waves, band Indie di Teramo, nata circa quattro anni fà a scuola, durante le attività musicali didattiche. Cominciano a suonare insieme come cover band di Arctic Monkeys, Kasabian, Strokes ecc.. Dopo questa prima esperienza decidono di incidere una demo di sei brani: "Glass Of The Thought" è appunto il nome del lavoro. Dopo la demo, Matteo Ciabattoni, chitarrista principale, ha lasciato il gruppo ed i tre membri rimanenti decidono di continuare a suonare. Stanno difatti lavorando per un prossimo album e tornare sulla scena live con in tavola una nuova scaletta originale. -Un gruppo musicale teramano visto dall’interno-parte 1 di Fabrizio Medori Tre amici fra i 16 e i 20 anni, a Teramo, durante l’estate del 1984, fra i campi di pallacanestro della “gammarana”, le rispettive camerette, le “serrande”, le merende a casa di Giovanni, le Olimpiadi di Los Angeles e la nuova musica rock, la “New Wave”. Avrebbero potuto fare moltissime altre cose, invece si riunirono in una casa, incautamente lasciata vuota dai genitori di Gianluca Stuard, il tastierista, durante le vacanze al mare, e per quattro giorni consecutivi suonarono. Gianluca Stuard suonava il pianoforte, Andrea Marramà un basso a forma di scimitarra, io la chitarra. Immediatamente scattò la caccia al batterista, con risultati deludenti e, scartata l’ipotesi di sostituire la batteria elettronica, si iniziò a cercare un cantante. I veri “bateau” si formeranno a Novembre, con l’ingresso del quarto personaggio, il cantante Toni Rastelli. Fin dall’inizio, contrariamente alla stragrande maggioranza dei gruppi teramani, almeno fino a quel periodo, si decise di scrivere brani originali, e di ridurre le cover al minimo indispensabile. Pochi giorni prima di Natale, spinti da “don Benito” Cipollini, e grazie alla disponibilità dell’amico Alfio, fu registrata la prima cassetta, in una delle camerette di cui sopra, la mia per la precisione. La sala prove, dove tutte le sere, insieme a noi, si radunava un gruppetto di amici, era l’ufficio del padre di Andrea. Si cominciò, velocemente, a pensare di fare il primo concerto, e nonostante la totale impreparazione organizzativa, il 15 Aprile ’85 il gruppo fece il suo esordio nella palestra del Liceo Scientifico di Teramo, davanti agli studenti della scuola e a qualche amico che si era furtivamente mescolato a loro. Poche settimane prima, i brani della prima registrazione avevano portato “le bateau ivre” alla fase finale del concorso “Indipendenti”, indetto dal mensile “Fare Musica”, e questo stava a dimostrare soprattutto che la strada delle composizioni originali era percorribile. Il periodo diventava ogni giorno più stimolante e a Giulianova aprì un locale, il Malaria, il cui proprietario, Sandro Ettorre, era molto ben disposto verso le nuove tendenze musicali e verso i nuovi gruppi abruzzesi. Il Malaria era un posto dove si ascoltava tutte le sere la nuova musica rock, dove si sono tenuti diversi concerti di alto livello e dove “le bateau ivre” ha suonato più volte.
Vinile, cd ed immateriale sono i formati in cui si presenta il nuovo album dei Delawater (d'altronde nessuno immagina quale sarà il futuro della musica riprodotta). Open book at page eleven, uscito a nome di una misteriosa etichetta personale ("Waited for months records"), e registrato impeccabilmente in casa da Mattia Coletti, è il secondo lavoro dei cinque prolifici musicisti a nome Delawater. 8 canzoni originali in una psichedelica veste grafica per raccontare romanticamente l'immaginario della generazione cresciuta negli anni '90.
"18 anni fà" - Un demo e il video di un concerto del 1995 della band teramana "BLANK". Un giovane Tito Macozzi al mixer per la registrazione dei brani. BLANK: Massimo Cancellieri - drums Nicola Catenaro - voice Pierluigi Filipponi - guitars Paolo Marini - bass, guitars Blank. 1995, live all'Arabesque, L'Aquila. |
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